Esercizi di speranza (23 gennaio-4 febbraio 2019)

23 gennaio-Scrivere=Sperare

Leggevo oggi che “una lettera è uno spazio di speranza”. Questo perché, quando se ne scrive una, non possiamo sapere che reazione avrà la persona che la leggerà, né conoscere il suo stato d’animo. Non sappiamo se quello che volevamo dire arriverà per come è stato pensato o se sarà frainteso, se l’intenzione per cui abbiamo scritto sarà stata valida oppure no, se abbiamo fatto bene insomma o se invece fosse stato meglio tacere. E quindi c’è questo spazio di tempo tra il momento in cui la lettera viene inviata e quello in cui riceviamo una risposta, tempo di incertezza, di ripensamenti, ma anche di speranza per l’appunto. Speranza di essere stati compresi e accolti per come siamo, di essere riusciti a comunicare quello che avevamo dentro e che non poteva essere trattenuto. Per questo di solito la risposta ad una lettera si attende con trepidazione. Ci sono altre volte, invece, in cui questo tempo di attesa si dilata al di là di un intervallo specifico perché la risposta o non arriva o era già previsto non arrivasse, come quando si scrive senza che ci sia un destinatario specifico (a parte se stessi). Penso alle pagine di un diario o di un blog, o a chi scrive per un pubblico vasto, giornalisti o scrittori, e quindi non ha un riscontro immediato alle sue parole. Conosce soltanto il momento in cui la sua opera è terminata e non si può più tornare indietro. Ed è difficile rimanere in quella zona in cui sai di aver messo in circolo una parte di te stesso ignorandone il destino da quel momento in poi. Sai solo che quella parte non tornerà più. Per questo scrivere può fare paura, ma la sfida è quella. È sperare. Perché lasciandoti mettere l’anima in controluce sai che c’è il rischio che non venga capita o accolta ma sai anche che, comunque vada, si sarà donata.

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In una parola: Rimanere

Ciò che sai amare rimane
il resto è scoria
Ciò che tu sai amare non sarà strappato da te
Ciò che tu sai amare è il tuo vero retaggio.

Questi versi del poeta Ezra Pound sono perfetti per introdurre la parola che ho scelto oggi per la rubrica Poesia in una parola: Rimanere. Alessandro D’Avenia, che li riprende nel suo saggio Ogni storia è una storia d’amore, li ha definiti come “l’essenza di ogni storia umana in soli quattro versi”. Ed effettivamente è così: non è quello che ci è successo a definirci, anche se ha avuto un certo peso, né possiamo permettere che sia quello che abbiamo o non abbiamo fatto a dirci chi siamo. Sant’Agostino diceva che “siamo ciò che amiamo”, è questo il vero retaggio, e soltanto ciò che avremo saputo davvero amare rimarrà e non ci sarà strappato, perché l’amore non passa mai.

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